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Diario

Ma il riccio è senziente?
Puglia e Pupe

16 gennaio 2018

Ceramiche di Grottaglie: La Pupa Baffuta

“Franco buongiorno sono a Matera”
“Bene Donna Bettina, allora ti aspetto a cena”
“No vabbè il tempo di arrivare, ci vediamo domani”
“Allora a pranzo, chiama quando sei qui. Ciao”
Con la promessa di buon cibo in corpo e benessere nell’anima ci dirigiamo verso Grottaglie. Non ci sono mai stata ma il mio amore per la terra di Puglia mi spinge col turbo.
E’ solo che la tentazione di fermarci prima a mangiare i ricci è demoniaca, ci frena. Savelletri è di strada, R non li ha mai provati, io sono vegetariana ma faccio delle minuscole escursioni nel mondo di cozze e vongole. I ricci, a parte quelli di R, non mi sono mai piaciuti ma voglio provarli di nuovo nel loro regno. L’ animalista antispecista in me si chiede: ma il riccio è senziente? Alla peggio gli chiederò il permesso prima di mangiarli. Piccole ipocrisie, mi perdono già.

E così ci fermiamo a dormire a Ostuni, tira un vento pazzo e fa freddo. La bellezza di Ostuni per me è tutta esterna, quando la vedi sorgere immacolata in alto ben sopra le cime degli ulivi. Poi all’interno, tra i vicoli mi ricorda la Grecia e mi piace meno. Io sono innamorata della Grecia ma i paesi di Puglia li preferisco barocchi, volute di tufo caldo.

I ristoranti sono quasi tutti chiusi, ci resta l’osteria le Monacelle dove mangiamo bene. Al tavolo di fianco a noi due gentiluomini inglesi spettinati dal vento parlano dei restauri della masseria recentemente acquistata, mangiano, bevono e ci sorridono molto. Ma questa sera non abbiamo tanta voglia di comunicare, stiamo stretti tra noi due asserragliati nel nostro perimetro d’ammore. Tutto buono, vino buono. Il primo mezzo litro di Nero di Troia se ne va, R ne ordina un altro dicendo al cameriere che la brocca era bucata. Ghignano anche gli inglesi.

Nel nostro b&b c’è una parete di maioliche di Franco, il proprietario ha anche un ristorante dove serve le pietanze dentro i piatti di Franco. E’ un richiamo continuo, dobbiamo partire ma la domanda è: e i ricci? Sì, no, sì, no: sì. Sticazzi . Lo chiamo e racconto una piccola bugia, lui non fa una piega e ci accordiamo per vederci a cena.

Si parte alla volta di Savelletri e qui comincia la parata degli ulivi secolari, di terra rossa ed erba verde. Fiorellini gialli a tappeto, cielo blu. Ho come un fuoco dentro, un’indigestione di bellezza.

Il camera car nei paesaggi belli mi piace più di tutto, più dei musei. La Sindrome di Stendhal si manifesta cantando i Sud Sound System a squarciagola insieme a R, finestrini aperti, gomito fuori, vento nei capelli. Da ascoltare a volume brillante:

 

Immaginare una brianzola e uno svizzero che provano a cantare questa canzone qua è raccapricciante, mi rendo conto. Al semaforo ragazzetti pugliesi ci guardano e si sganasciano. Embè? Noi ci proviamo e aggiungiamo anche questa alla playlist , perché siamo audaci:

 

Arriviamo qui, non so se rendo.

Mangiamo 10 ricci, spaghetti alle vongole, frittura di paranza, vino bianco caffè: 18 euro. Per me ma soprattutto per lo svizzero è uno Shock.
Si riparte piano, rallentati dal desiderio di far scorrere gli occhi attorno. Ci fermiamo per una breve passeggiata digestiva sulla spiaggia dove R trova un tubo di gomma secca e mi fa un assolo usandolo alla stregua di un didjeridoo. E il naufragar mi è dolce in questo mare.

 

Arrivati a Grottaglie entriamo e usciamo da un paio di alberghi ma alla fine decidiamo di andare a dormire a Taranto, perché sono 10 km ma ne vale la pena. L’Albergo del Sole ha un balconcino con vista Porto, anche in bagno. Sei lì seduto sul vater e guardi il bel panorama “annaz al mare” del porto vecchio di Taranto, l’esperienza sensoriale è più che suggestiva.

 

L’invito a cena è da Papa Giro, osteria di Grottaglie. Accoglienza focosa e come al solito buon cibo. R assaggia con disinvoltura gli gnommarieddi (o turcinieddi, o marretti) , questa antica cosa qui:

(La ricetta degli gnummareddi)

Franco è un istrione, intelligente e con un bel senso dell’umorismo. A me non so perché ricorda un indiano, infatti guida una Tata. E’ pacato ma veloce, arguto.
Ci racconta del padre imprenditore che era stato invitato dal governo italiano a fare un viaggio in Cina negli anni’50. Partiti in gruppo gli imprenditori italiani andavano nel mondo per capire quali fossero le possibilità di produzione, un prodromo di delocalizzazione suggerito dal governo. Fu masochismo? Vabbè.
Nicola era lì, d’inverno, in Cina. Un freddo boia. Un bel mattino non trova più il suo cappotto, glielo ha rubato un cinese. Non è che i cappotti in Cina negli anni ‘50 si trovassero proprio dietro l’angolo e così Nicola si fece il resto del viaggio mezzo nudo e tornò a casa con la polmonite maledicendo i cinesi. Che hanno rubato solo il suo perché, come gli disse un amico “e quale dovevano prendere Nicò, tu sei l’unico piccolo come un cinese, la taglia tua è perfetta.”

Più tardi Franco mi racconta che in tanti gli chiedono di mettere online le sue ceramiche, ma a lui non interessa perché poi va a finire che vogliono i piatti con i galletti che hanno un po’ tutti. Gli chiedo come mai ha deciso di collaborare con me e lui mi dice che lui le persone le capisce dalla voce.
Io: “Dì la verità, ma poi ti è anche piaciuto che son partita con le pupone baffute e i cavalieri.”

Lui: “Effettivamente…”

 

Belli satolli ci congediamo dandoci appuntamento per la mattina dopo alla fornace “Alle 7 va bene?” sì certo, siamo ko ma diciamo ok . Franco ci chiede di passare di là perché deve “operare”. Mò a me viene il dubbio che sia anche chirurgo, non mi stupirebbe. Invece la mattina arriviamo e lo troviamo che “opera” al tornio, crea nuove decorazioni su grandi piatti. E’bello il modo in cui lo fa, è concentrato ma in bella posa con uno sfoggio di vanità che viene dalla passione. I suoi operai lo amano, si vede.

Volendolo riassumere direi che è un tipo così:

La fornace è bella, grande, organizzata. La visitiamo in libertà, io mi sento a casa. La immagino in estate, surriscaldata dal sole pugliese. E ancora penso all’India.

Scattiamo le foto, per tutto il giorno senza posa in un serrato andirivieni tra fornace e negozio, strade e vicoli, carichi di ceramiche a braccio. Filomena, la moglie di Franco, ci guarda preoccupata con i suoi begli occhi truccati di verde. Ci presta lo swiffer per spolverare le ceramiche ma sulla movimentazione di alcuni pezzi proprio non sta tranquilla, tipo questo qui.

Io e R siamo come esaltati, Franco nota la mia iperattività: non sto a dirgli dell’ipertiroidismo ma in effetti verso sera mi rendo conto che in tutto il giorno ci siamo seduti davvero poco. E ora ci aspetta la Salerno Reggio Calabria al buio. Mee.

Ci congediamo con un carico di dodici bottiglie di rosso che produce il genero di Franco e la promessa di rivederci presto. Non vedo l’ora.

Si riparte, è sera inoltrata. Decidiamo di spezzare il viaggio con una sosta in Costiera. L’alberghetto ad Amalfi, una specie di cabina di nave piccolissima, ha una vista mozzafiato sull’orizzonte e il volo dei gabbiani.

La mattina la strada è luminosa, perfetta per mettere in valigia il viaggio e rientrare a Nord.

Al casello di Napoli chiedo dove possiamo mangiare una bufala al volo di strada. Il casellante è prontissimo: “Esci a Caianello, trecento metri a sinistra trovi La Pagliara.”

E anche questa è fatta.

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